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Come scaricare Avventurieri ai confini del mondo in italiano: il torrent del film del 1983



I campioni del mondo in carica erano gli italiani, vincitori delle ultime due edizioni. L'armistizio e la fase finale della guerra al fianco degli Alleati avevano evitato all'Italia le sanzioni riservate ai paesi vinti e che alla Germania erano costate l'esclusione dalle Olimpiadi del 1948. La nazionale azzurra aveva ripreso l'attività l'11 novembre 1945, a Zurigo, contro la Svizzera (4-4) e aveva vinto le tre successive partite interne, con l'Austria, ancora la Svizzera e con l'Ungheria; ma non era più la grande squadra di prima della guerra. Le sucessive sconfitte in Austria (1-5, con il debutto del giovane Boniperti) e in casa contro l'Inghilterra (0-4 a Torino nel 1948) avevano già indebolito la posizione del commissario tecnico Vittorio Pozzo, che fu poi costretto, come abbiamo visto, a dimettersi dopo la sfortunata esperienza olimpica. Il calcio italiano attraversava una delicata crisi di ordine tattico, stretto fra le nostalgie del metodo, cui doveva le sue vittorie passate, e l'ormai universale affermazione del sistema, al quale pochi suoi giocatori, a eccezione di quelli del Torino, erano addestrati. In questa situazione già critica si verificò, l'anno prima del Mondiale 1950, il disastro aereo di Superga, in cui persero la vita tutti i giocatori del Torino, di ritorno da una partita amichevole giocata a Lisbona. La tragedia fece piombare il calcio italiano (e l'intero paese, che del Torino aveva fatto uno dei simboli della rinascita) nella costernazione. Il Torino, una squadra senza punti deboli, era stato anche il principale, talvolta quasi esclusivo, fornitore della nazionale, arrivando a comporne i dieci undicesimi. Non fu facile ricostruire una formazione affidabile per l'ormai prossima scadenza mondiale e, inoltre, il ricordo della recente sciagura indusse la squadra a decidere di raggiungere il Brasile per nave, con grave pregiudizio della preparazione. Sconfitta dalla Svezia nel debutto a San Paolo, l'Italia cedette in fretta il suo titolo e per il calcio azzurro si aprì, sino alla vittoria nei Campionati europei del 1968, un lungo periodo privo di vittorie, che lo vide passare dal ruolo di protagonista del panorama internazionale a quello di modesta comparsa.




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Il dopoguerra aveva avviato la sempre più massiccia trasformazione del calcio da mero evento agonistico a fenomeno ben più coinvolgente, legato alle leggi dello spettacolo e del business più che a quelle tradizionali dello sport. Soprattutto i club spagnoli e italiani (Real Madrid e Barcellona, Juventus, Milan, Inter) si disputavano a prezzi sempre più alti i campioni stranieri e potevano così contare su compagini d'altissimo valore, mentre le nazionali erano assai poco competitive oltre che fortemente condizionate dalle esigenze del Campionato. Fu quindi naturale che si pensasse di affiancare alle competizioni riservate alle squadre nazionali anche tornei e manifestazioni internazionali tra club di nazioni diverse, un processo cui avrebbe dato un impulso decisivo l'ingresso del mezzo televisivo nel mondo del calcio. Prima che questo si verificasse, però, il panorama europeo venne vivacizzato, sul piano squisitamente tecnico, dalla comparsa e dalle sfortunate vicende di una delle squadre più belle e più forti di ogni tempo, la Grande Ungheria.


Dopo i fasti dell'anteguerra, culminati nella finale dei Mondiali 1938, l'Ungheria aveva conosciuto un brusco declino, pur restando in attività sino al novembre del 1943, quando il conflitto si era ormai propagato a tutta l'Europa. I punti più critici furono la sconfitta per 0-7 subita a opera della Germania nel 1941 a Colonia e, due anni più tardi, quella per 2-7, inflittale in casa dalla Svezia di Nordahl e Gren, primo successo svedese in terra ungherese. Liberata dall'occupazione nazista nel febbraio 1945, per passare peraltro sotto il ferreo controllo sovietico, l'Ungheria già nell'agosto dello stesso anno affrontava l'Austria in un doppio incontro, che esaltava una nuova generazione di forti attaccanti, fra i quali Nyers e Mike che presto furono attratti dal calcio italiano. Già all'epoca muoveva i suoi primi passi nella nazionale ungherese un giovane talento dal potente sinistro, Ferenc Puskas. La svolta si ebbe nel 1949, quando salì alla carica di commissario tecnico Gustav Sebes, uomo dalle idee tattiche avanzatissime, anticipatore di un gioco 'universale', che precorse di un ventennio quello poi imposto al mondo dall'Olanda negli anni Settanta. Nacque così, pezzo dopo pezzo, l'aranycsapat, la "squadra d'oro", raro esempio di una formazione che riusciva a fondere la classe dei suoi solisti, quasi tutti campioni di altissimo livello, in un'armonica manovra corale. Tatticamente, l'Ungheria riprese, perfezionandola, una figura del calcio brasiliano, il centravanti arretrato, che trovò in Hidegkuti un ottimo interprete: un numero 9 che teneva una posizione da suggeritore, mentre le punte più avanzate erano le due mezzali, Kocsis e Puskas, supportati da una grande ala mancina, Czibor. Il regista era il finissimo mediano Bozsik. Questa disposizione, inedita per l'Europa, mise in crisi tutti gli avversari, che vedevano il proprio difensore centrale 'risucchiato' dagli arretramenti di Hidegkuti, mentre il sinistro di Puskas e lo stacco aereo di Kocsis provocavano enormi danni agli avversari.


Sulla scia della Coppa dei Campioni, altre competizioni come la Coppa delle Coppe, riservata alle squadre vincitrici della Coppa nazionale, e la Coppa delle Fiere, poi divenuta Coppa UEFA, contribuirono ad arricchire sempre più il panorama di confronti internazionali. Il Real Madrid impose la sua supremazia nelle prime cinque edizioni della Coppa dei Campioni; la superiorità tecnica era accompagnata da un 'peso politico' che gli valeva, nei rari momenti difficili, la puntuale protezione degli arbitri. Ne fecero esperienza anche due squadre italiane, la già citata Fiorentina di Bernardini e il Milan, giunte sino alla finale, ma poi incapaci di interrompere l'imbattibilità dei campioni del Real. Con gli inglesi sempre arroccati nel loro isolamento, la Coppa dei Campioni fu a lungo una vetrina del calcio latino, che del resto si segnalava per attingere costantemente talenti fuori dai propri confini. Quando declinarono, per puri motivi anagrafici, i campioni del Real, il loro posto venne preso per un biennio dai portoghesi del Benfica, che si avvalevano di fuoriclasse nati nell'ex colonia del Mozambico, come Eusebio e Coluña.


Fu poi il momento degli italiani, con le due squadre milanesi. Il Milan fece da apripista, coniugando la creatività di Gianni Rivera e la scaltrezza tattica di Viani e Rocco con il talento brasiliano del goleador José Altafini e del regista Dino Sani. L'Inter raccolse il testimone e impose a sua volta un dominio mondiale, ratificato dai successi nella durissima Coppa Intercontinentale, che opponeva la vincitrice della Coppa dei Campioni europea alla squadra che si era imposta nella Coppa Libertadores, l'omologa manifestazione sudamericana. La Coppa Intercontinentale assegnava, in pratica, il titolo virtuale di campione del mondo a livello di club e i neroazzurri se lo aggiudicarono per due stagioni di seguito, nel 1964 e nel 1965. Anche l'Inter, come il Real, segnò un'epoca, ma per ragioni tatticamente opposte. Il Real giocava un calcio libero, affidato all'estro dei suoi solisti, dove il giocatore più autorevole in campo, Alfredo Di Stefano, era assai più importante dell'allenatore, che infatti veniva sostituito ogni anno malgrado i puntuali successi. Anche l'Inter annoverava grandi campioni, dal regista spagnolo Suarez, a Sandro Mazzola, figlio di Valentino, il capitano del Grande Torino, punta di rapidità fulminea. Sotto gli ordini di Helenio Herrera, il tecnico che tutto il mondo del calcio conosceva come 'il mago', l'Inter adottava però ferrei schemi tattici, imperniati su un reparto difensivo quasi invulnerabile e su un inarrestabile contropiede: gli ingredienti fondamentali di quello che fu poi etichettato come 'calcio all'italiana', con intenti denigratori. In realtà, applicato da una grande squadra e dagli interpreti giusti, anche il calcio all'italiana trovava una sua dignità tecnica. Era senza dubbio più efficace che spettacolare. Ma sul concetto di spettacolo nel calcio le opinioni sono e resteranno difformi, mentre i risultati sono incontestabili.


L'Italia tornò così ai vertici, a solo due anni di distanza dall'episodio più mortificante della sua storia calcistica. Ai Mondiali d'Inghilterra del 1966, infatti, il calcio italiano si era presentato con giustificate ambizioni. Dopo la negativa esperienza cilena, la federazione era corsa ai ripari, affidando la squadra azzurra a una gestione stabile e autonoma come non si verificava dai tempi di Vittorio Pozzo. Un giovane tecnico emergente, Edmondo Fabbri, che godeva del pieno appoggio del presidente federale Giuseppe Pasquale, aveva reimpostato la nazionale sottraendola all'influenza delle società; aveva costituito, infatti, un nucleo fisso di giocatori (il club Italia) mettendo a punto per loro un tipo di gioco in controtendenza rispetto al Campionato. Molti giovani di valore, che in parte si erano rivelati nella nazionale olimpica del 1960, ne costituivano l'ossatura: Rivera, Mazzola, Bulgarelli, Salvadore, Rosato sembravano poter assicurare un brillante futuro a una squadra che si era via via disfatta degli oriundi, optando coraggiosamente per l'autarchia. I primi risultati furono ottimi e ottenuti con un gioco spumeggiante, che riavvicinò alla nazionale il grande pubblico. Purtroppo, però, Fabbri era tanto preparato e valido sul piano tecnico quanto ombroso e sospettoso di carattere. Ai Mondiali inglesi, inaugurati da una vittoria sul Cile che assunse anche il valore di una rivincita del 'sopruso' di quattro anni prima, si chiuse in se stesso e prese decisioni discutibili (come quella di mandare in campo Bulgarelli, non ancora ristabilito da un infortunio, quando non erano previste le sostituzioni a partita in corso). L'Italia finì con l'essere eliminata dalla Corea del Nord, una squadra fino a quel momento assolutamente sconosciuta nel panorama del calcio internazionale. Partiti con l'appoggio dell'entusiasmo popolare, gli azzurri furono accolti al loro ritorno all'aeroporto di Genova, dal lancio di pomodori, da parte di una folla inviperita. 2ff7e9595c


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